venerdì 1 agosto 2014

Tutte le contraddizioni dell’inchiesta indiana

Da "IL TEMPO"
Dalla traiettoria al calibro dei proiettili usati Fino a Renzi che incontra il re dell’acciaio indiano



La beffa che umilia l’Italia. Ormai è stato superato qualsiasi record, la giustizia indiana ha rinviato di nuovo il processo ai nostri due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. L’India è uno dei Paesi delle economie emergenti che vanno sotto l’acronimo di Brics ma il suo sistema giudiziario è quantomeno ridicolo. E a farne le spese sono due militari italiani che, sono trascorsi due anni, erano comandati in servizio di protezione a una nave mercantile italiana in navigazione in acque a rischio di atti di pirateria. Così Massimiliano e Salvatore sono ancora in regime «ristretto» a New Delhi senza possibilità di contestare le accuse. Accuse che sono state formulate dalla polizia indiana dopo la morte di due pescatori indiani del Kerala durante una battuta in mare. Le prove addotte sono palesemente bufale ma i governi italiani che si sono succeduti in questi due anni non sono risuciti a contestarle e l’Italia tutta deve continuare a subire l’umiliazione e i toni sprezzanti delle autorità indiane. Un atteggiamento, quello degli inquilini di Palazzo Chigi, dimesso o meglio sottomesso alla logica degli affari. Logica alla quale sembra non essere immune anche Matteo Renzi. Infatti a giugno, appena un mese fa, ha incontrato Sajjan Jindal, presidente della Jindal South West, colosso dell’acciaio interessato all’acquisto del 69 per cento dei laminatori delle acciaierie Lucchini di Piombino. Emissari della azienda di Mumbai hanno anche contatto il presidente della Regione Toscana Rossi e i notai che stanno gestendo l’affare Lucchini.
Ma ripercorriamo le tappe dell’inchiesta che ancora oggi vede pendere su Massimiliano Latorre e Salvatore Girone l’accusa di omicidio e una non troppo velata minaccia di pena di morte. Su tutta la vicenda pesa quell’accordo fatto dalla Difesa italiana e le società d’armatori che presenta ancora oggi lacune sulle linee di comando che, nella vicenda dei due marò, sono emerse in tutta la loro gravità. Ancora oggi resta nell’ombra colui che diede l’ordine alla nave Enrica Lexie di rientrare al porto di Kochi e mettere a disposizione della polizia indiana le armi e gli stessi fucilieri del San Marco. Ma questa richiesta della polizia indiana era già frutto di un inganno. Infatti non c’era nessuna e evidenza che il peschereccio Saint Antony fosse stato colpito da proiettili esplosi dalla Lexie. Infatti la nave italiana, quel 15 febbraio 2012 aveva denunciato un tentativo di abbordaggio di pirati, alle 16, 30. Il proprietario della barca indiana racconta davanti alle telecamere di aver subito l’attacco alle 21,30 e infatti il peschereccio rientra in porto a tarda sera. Freddy Bosco, questo il nome del titolare del pescherecio fornirà ben quattro versioni diverse arrivando anche a dichiarare che il nome della Enrica Lexie gli è stato dato dalla polizia di Kochi. Ma le vere bufale sono quelle della perizia balistica e delle traiettorie. Agli esperti italiani del Ros dei carabinieri non è stato permesso di presenziare alle prove tecniche. I corpi delle vittime sono stati cremati e il peschereccio bruciato perché, secondo la loro tradizione marinara, essendoci stati due morti a bordo la barca portava sfortuna. Il commissario capo di Kochi, Shajadan Firoz, il timoniere Valentine Jalestine è stato colpito alla testa da un proiettile di 0,54 pollici circa 13,9 millimetri. Altro dato fornito invece dall’anatomopatologo Sisikala che parla di misure compatibili con un calibro 7,62. I marò italiani hanno in dotazioni Beretta Sc70/90 e Fn Minimi che montano munizioni calibro 5,46. Il calibro rilevato dalle perizie indiane è usato nelle mitragliatri russe Pk che sono montate sui guardiacoste dello Sri Lanka che spesso respingono a colpi di mitra l‘invasione dei pescatori indiani nelle acque di Colombo. Altra incongruenza è la traiettoria dei colpi rispetto alle ferite: l’Enrica Lexie è alta 35 metri e i marò sparando da lassù non avrebbero mai potuto centrare in via orizzontale né il peschereccio né i pescatori. Anche il verbale dell’autopsia risulta manipolato con aggiunte scritte con altri caratteri. Nel passaggio che cita la vittima di nome Pinki si vedono addirittura due residui dello scritto precedente. L'indicazione del mese e il nome sono sulla destra, mentre il resto del documento è ordinatamente allineato a sinistra. La stessa anomalia si ripete quando viene citato il reperto estratto dal cervello di Jalastine. L'ingrandimento documenta le sbavature di una macchina da scrivere diversa e imprecisa. Perfino il modo di indicare il mese si trasforma. Nell'originale è Cr No.02/12 nella manipolazione è Cr. No: 02/12.
Maurizio Piccirilli