giovedì 31 ottobre 2013

I GIUDICI DI BELLINZONA (CH)

Chi diceva Finmeccanica non c'entra
SENTENZA

Bundesstrafgericht
Tribunal pénal fédéral
Tribunale penale federale
Tribunal penal federal
Numero dell'incarto: RR.2013.229
Sentenza del 16 ottobre 2013
Corte dei reclami penali
Composizione
Giudici penali federali Stephan Blättler, presidente,
Giorgio Bomio e Roy Garré ,
Cancelliere Giampiero Vacalli
Parti
A. , rappresentato dall'avv. Luca Marcellini,
Ricorrente
contro
UFFICIO FEDERALE DI GIUSTIZIA , SETTORE ESTRADIZIONI,
Controparte
Oggetto
Assistenza giudiziaria internazionale in materia penale all'Italia
Decisione di estradizione (art. 55 AIMP) e
delega all'estero (art. 88 AIMP)

Fatti:

A. L'11 febbraio 2013 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Busto Arsizio ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari (n. 3856/12 R.G.N.R. - n. 3785/12 R.G GIP) nei confronti di A. ed altri per il reato di corruzione internazionale in concorso. In sostanza, gli indagati avrebbero posto in essere, verso la fine del 2012, manovre corruttive nell'ambito di una fornitura di elicotteri all'India da parte della società C., gruppo controllato da B., società finanziata dallo Stato italiano e quotata alla borsa valori di Milano.
B. Con nota verbale del 5 aprile seguente, l'Ambasciata d'Italia a Berna ha presentato all'Ufficio federale di giustizia (in seguito: UFG) la richiesta formale di estradizione di A., cittadino americano e italiano.
C. Venuto a conoscenza che nei confronti dell'estradando era pendente un procedimento penale in Svizzera aperto dal Ministero pubblico della Confederazione (in seguito: MPC), l'UFG, in data 18 aprile 2013, ha trasmesso a quest'ultimo la domanda di estradizione, chiedendogli di specificare se i fatti indagati dalle autorità italiane e svizzere fossero i medesimi. In caso affermativo, esso avrebbe dovuto motivare un'eventuale estradizione all'Italia nonché specificare l'eventuale sua intenzione di chiedere all'autorità rogante l'assunzione del procedimento penale svizzero. Se i fatti indagati non fossero stati gli stessi o se l'autorità inquirente federale avesse deciso di rinunciare alla sua procedura a favore dell'estradizione, il MPC avrebbe dovuto provvedere all'audizione dell'estradando.
D. Il 26 aprile 2013 il MPC ha comunicato all'UFG che i fatti perseguiti in Italia ed in Svizzera erano sostanzialmente i medesimi, che a suo avviso A. andava estradato, chiedendo nel contempo all'autorità rogante di assumere il perseguimento per quanto riguarda i reati commessi in Svizzera, e che in ogni caso il procedimento svizzero era stato nel frattempo sospeso.
E. Interrogato il 30 aprile seguente, A. si è opposto alla sua estradizione in via semplificata.
F. Il 13 maggio 2013 l'estradando ha preso posizione sia sullo scritto del MPC del 26 aprile 2013 che sulla domanda di estradizione italiana, rifiutando la sua estradizione.
G. Con nota verbale del 17 giugno 2013, l'Ambasciata d'Italia a Berna ha comunicato alle autorità elvetiche che, in caso d'accoglimento della domanda d'estradizione, sarebbero state assicurate condizioni detentive rispettose dell'art. 3 CEDU, aggiungendo che l'estradando non avrebbe dovuto necessariamente essere ristretto presso la Casa Circondariale di Busto Arsizio, essendovi la possibilità di essere incarcerato in un altro istituto penitenziario più vicino al confine svizzero, anche al fine di agevolare eventuali visite di familiari.
H. Il 12 luglio 2013 l'UFG ha concesso l'estradizione di A. all'Italia, chiedendo inoltre a quest'ultima di assumere il procedimento penale svizzero condotto dal MPC per i fatti commessi sul territorio svizzero, decisione contro la quale l'estradando, in data 14 agosto 2013, ha interposto ricorso davanti alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale, chiedendone l'annullamento.
I. Con osservazioni del 5 settembre 2013 l'UFG propone di respingere il ricorso. Nella sua replica del 20 settembre seguente, trasmessa per conoscenza all'UFG, il ricorrente ribadisce le conclusioni presentate in sede di ricorso.
Diritto:

1. In virtù degli art. 55 cpv. 3 e 25 cpv. 1 della legge federale sull'assistenza giudiziaria internazionale in materia penale (AIMP; RS 351.1) e dell'art. 37 cpv. 2 lett. a n. 1 della legge federale sull'organizzazione delle autorità penali della Confederazione (LOAP; RS 173.71), la Corte dei reclami penali è competente per statuire sui ricorsi contro le decisioni d'estradizione. Interposto entro 30 giorni dalla notificazione scritta della decisione d'estradizione (art. 50 cpv. 1 PA, applicabile in virtù del rinvio previsto all'art. 39 cpv. 2 lett. bLOAP), il ricorso è tempestivo. In qualità di estradando il ricorrente è manifestamente legittimato a ricorrere (v. art. 21 cpv. 3 AIMP; DTF 122 II 373 consid. 1b e rinvii). Per quanto attiene alla decisione di delega del perseguimento penale, legittimata a ricorrere è unicamente la persona perseguita che ha dimora abituale in Svizzera (v. art. 25 cpv. 2 AIMP; sentenza del Tribunale federale 1A.117/2000 del 26 aprile 2000, consid. 1a; sentenza del Tribunale penale federale RR.2013.44 del 7 maggio 2013, consid. 1.3.2), ciò che è il caso nella fattispecie.
1.1 L'estradizione fra la Repubblica italiana e la Confederazione Svizzera è anzitutto retta dalla Convenzione europea d'estradizione del 13 dicembre 1957 (CEEstr; RS 0.353.1), entrata in vigore il 4 novembre 1963 per la Repubblica italiana e il 20 marzo 1967 per il nostro Paese, dal Secondo Protocollo addizionale alla CEEstr del 17 marzo 1978, entrato in vigore per la Repubblica italiana il 23 aprile 1985 e per la Svizzera il 9 giugno 1985, nonché, a partire dal 12 dicembre 2008 (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, L 327/15-17, del 5 dicembre 2008), dagli art. 59 e segg. dalla Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 (CAS). Di rilievo nella fattispecie è anche la Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, conclusa a Parigi il 17 dicembre 1997, entrata in vigore per la Svizzera il 30 luglio 200 e per l'Italia il 13 febbraio 2001 (RS 0.311.21; in seguito: Convenzione sulla corruzione).
Le procedure di delega del perseguimento penale sono rette dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, entrata in vigore il 12 giugno 1962 per l'Italia ed il 20 marzo 1967 per la Svizzera (CEAG; RS 0.351.1), dall'Accordo italo-svizzero del 10 settembre 1998 che completa e agevola l'applicazione della CEAG (RS0.351.945.41), entrato in vigore mediante scambio di note il 1° giugno 2003 (in seguito: l'Accordo italo-svizzero), nonché, a partire dal 12 dicembre 2008 (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, L 327/15-17, del 5 dicembre 2008), dagli art. 48 e segg. della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 (CAS; testo non pubblicato nella RS ma ora consultabile nel fascicolo "Assistenza e estradizione" edito dalla Cancelleria federale, Berna 2012).
1.2 Alle questioni che il prevalente diritto internazionale contenuto in detti trattati non regola espressamente o implicitamente, come pure quando il diritto nazionale sia più favorevole all'estradizione rispetto a quello convenzionale (cosiddetto principio di favore), si applica l'AIMP, unitamente alla relativa ordinanza (OAIMP; RS 351.11; v. art. 1 cpv. 1 AIMP; DTF 137 IV 33 consid. 2.2.2; 136 IV 82 consid. 3.1; 130 II 337 consid. 1; 128 II 355 consid. 1; 124 II 180 consid. 1a; 123 II 134 consid. 1a; 122 II 140 consid. 2, 373 consid. 1a). È fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali ( DTF 135 IV 212 consid. 2.3; 123 II 595 consid. 7c; TPF 2008 24 consid. 1.1).
2. Il ricorrente sostiene innanzitutto che l e autorità giudiziarie italiane e svizzere avrebbero utilizzato il fatto di avere entrambe giurisdizione su un reato per creare le condizioni per adottare e mantenere misure cautelari privative della libertà. Da marzo ad ottobre 2012, pur essendo pendenti i procedimenti penali nei due Paesi, egli non sarebbe stato informato del procedimento svizzero, in modo da far progredire l'inchiesta italiana, ma operando nei suoi confronti sorveglianze di varia natura, onde poter intervenire con un arresto non appena ne fosse stata data l'occasione. A ottobre 2012 l'Italia avrebbe allentato la presa, rinunciando al seguito della rogatoria per consentire alla Svizzera di procedere all'arresto e di condurre indisturbata il procedimento. Siccome l'arresto non sarebbe stato confermato dal Giudice delle misure coercitive l'inchiesta svizzera avrebbe perso di slancio e si sarebbe riattivata quella italiana, chiedendo ancora collaborazione all'estradando. Ad inizio 2013, non essendovi più nulla da ottenere dall'estradando, l'Italia ne avrebbe chiesto l'arresto. A marzo 2013 quando l'estradando avrebbe voluto consegnarsi spontaneamente all'Italia per alleggerire le esigenze cautelari ed ottenere in tempi brevi la revoca del provvedimento, si sarebbe riattivata la giurisdizione svizzera citandolo ad un interrogatorio, non riconsegnandogli i documenti e quindi impedendogli di consegnarsi, contando su un arresto estradizionale. Visto però che questa ipotesi non si è concretizzata, la magistratura svizzera si sarebbe disinteressata dell'estradando e addirittura avrebbe auspicato un trasferimento in Italia suo e del procedimento a suo carico. In definitiva, il ricorrente ritiene che concedere la sua estradizione dopo l'iter procedurale da lui subito costituirebbe di fatto un avallo di un modo di procedere delle autorità inquirenti del tutto inammissibile.
Orbene, gli atti dell'incarto permettono senz'altro di evidenziare una non sempre lineare trattazione dei procedimenti sia nazionale che estero. Ciò deve tuttavia essere ricondotto verosimilmente alla complessità della fattispecie, la quale riguarda atti compiuti in più Paesi da soggetti con nazionalità e residenza diverse, ponendosi inevitabilmente problemi di coordinazione non sempre estranei a questa tipologia d'inchieste a carattere internazionale. Ad ogni modo, se l'estradando riteneva di essere stato vittima di atti contrari alle norme procedurali o materiali in vigore, avrebbe dovuto contestarli tempestivamente e puntualmente, ciò che non è stato il caso. Occorre ora constatare che le autorità italiane chiedono l'estradizione del ricorrente e che le autorità svizzere, sospendendo tra l'altro le proprie indagini, ritengono corretto che il predetto venga giudicato all'estero. Si tratta dunque di verificare in questa sede se le condizioni legali per tale estradizione siano date o meno.
3. L'estradando ritiene che la giurisdizione svizzera sarebbe data e sarebbe anche stata esercitata, essendoci sufficienti motivi affinché sia il MPC a proseguire il procedimento penale. I requisiti dell'art. 35 AIMP non sarebbero comunque adempiuti e l'estradizione non sarebbe ammissibile. Non si sarebbe del resto nemmeno in presenza di un caso speciale ai sensi dell'art. 36 AIMP, considerato come tutte le circostanze, in particolare le condizioni di un miglior reinserimento sociale, porterebbero a preferire la giurisdizione svizzera a quella italiana. La possibilità di rifiuto dell'estradizione di cui all'art. 37 cpv. 1 AIMP sarebbe già ampiamente concretizzata, nella misura in cui il perseguimento penale in Svizzera sarebbe già stato avviato e si troverebbe ad uno stadio avanzato. Nel caso concreto non entrerebbe neppure in linea di conto la possibilità di delegare all'estero il procedimento per cui l'autorità svizzera ha giurisdizione, considerato come non ne sarebbero manifestamente date le condizioni.
3.1 L'art. 7 n. 1 CEEstr permette allo Stato richiesto di rifiutare l'estradizione quando un reato, secondo la sua legislazione, è stato commesso in tutto o in parte sul suo territorio. Si tratta di una norma potestativa che permette allo Stato richiesto di rifiutare l'estradizione, senza tuttavia obbligarlo (v. sentenze del Tribunale penale federale RR.2012.230 del 14 novembre 2012, consid. 2.2; RR.2009.309 del 16 marzo 2010, consid. 9.2; ROBERT ZIMMERMANN, La coopération judiciaire internationale en matière pénale, Berna 2009, 3 a ediz., n. 567). Conformemente a tale disposizione, il diritto svizzero prevede che, di regola, l'estradizione non può intervenire quando il reato perseguito soggiace alla giurisdizione svizzera (art. 35 cpv. 1 lett. b AIMP). In questo caso, l'estradizione è concessa solo eccezionalmente, in presenza di circostanze particolari, segnatamente per garantire un migliore reinserimento sociale (art. 36 cpv. 1 AIMP). L'autorità di estradizione incaricata di decidere se la competenza delle autorità repressive svizzere può giustificare il rifiuto di estradare dispone in questo ambito di un ampio potere d'apprezzamento, di cui la giurisdizione di ricorso controlla unicamente l'abuso o l'eccesso (v. sentenze del Tribunale federale 1C_525/2013 del 19 giugno 2013, consid. 2.1.1; 1A.233/2004 dell'8 novembre 2004, consid. 3.1; sentenza RR.2012.230 consid. 2.2; sentenza del Tribunale penale federale RR.2007.72 del 29 maggio 2007, consid. 5.2; ZIMMERMANN, ibidem ) . Lo scopo dell'art. 36 cpv. 1 AIMP è quello di aprire un unico procedimento a carico dell'indagato per l'insieme dei fatti contestatigli, di regola laddove la maggior parte dell'attività delittuosa ha avuto luogo (DTF 124 II 586 consid. 3b/bb pag. 213; sentenza 1C_525/2013 consid. 2.1.1).
3.2 La giurisdizione svizzera è delimitata, indirettamente, attraverso il campo d'applicazione della legislazione penale federale, dagli art. 3 a 7 CP. Essa è segnatamente data per tutte le infrazioni commesse in Svizzera (art. 3 cpv. 1 CP). Il luogo del reato è sia quello dove l'autore ha agito che quello in cui il risultato si è prodotto (art. 7 cpv. 1 CP). È sufficiente che il reato sia stato almeno parzialmente perpetrato in Svizzera (DTF 111 IV 1; sentenza 1A.233/2004 consid. 3.2).
3.2.1 Nella fattispecie, le autorità italiane e svizzere chinatesi sulla vicenda hanno evidenziato più luoghi nei quali i fatti oggetto d'indagini sarebbero intervenuti. Secondo lo Stato rogante la corruzione internazionale di funzionari indiani, in relazione alla gara per la fornitura di 12 elicotteri destinati al trasporto di grosse personalità in quel Paese, sarebbe stato commesso in parte a Cascina Costa di Samarate (provincia di Varese), sede della società C., e consumato in India nel dicembre 2012. Le autorità inquirenti italiane affermano in particolare che "dagli interrogatori sostenuti dall'indagato A. e dalla documentazione sottoposta a sequestro, emerge, con chiarezza, che il reato di corruzione internazionale è stato, almeno in parte, commesso in Italia in quanto l'accordo illecito e la predisposizione dei mezzi per la consumazione del delitto è avvenuta presso la sede della società C. a Cascina Costa di Samarate. In particolare, a Cascina Costa hanno avuto luogo gli incontri fra A. ed i vertici di C. (D., E.), per discutere della gara e della possibilità di influenzare la commissione. Inoltre, proprio presso la sede di Cascina Costa sono stati conclusi gli accordi contrattuali (di consulenza e di ingegneria) tra la società C. ed A." (v. act. 6.4, scritto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio del 24 aprile 2012, pag. 2). Il riciclaggio di denaro finalizzato al pagamento delle presunte tangenti e provvigioni sarebbe stato commesso a Cascina Costa di Samarate, a Tunisi, alle Isole Mauritius e a Lugano in continuazione fino al gennaio 2013. Il MPC, dal canto suo, ha inizialmente aperto una procedura penale a carico dell'estradando per titolo di corruzione di ufficiali stranieri (art. 322 septies CP) e riciclaggio di denaro (art. 305 bis CP), ritenendo che i fatti corruttivi e di riciclaggio fossero stati commessi in parte anche su territorio svizzero, in particolare attraverso la società F., a Lugano, riconducibile anche al ricorrente (v. act. 1.5, pag. 5).
3.2.2 Ora, da quanto precede, e soprattutto alla luce dell'intero incarto (v. in particolare act. 6.2), emergono elementi che permettono sia all'Italia che alla Svizzera di fondare una propria competenza a perseguire e a giudicare i presunti atti di corruzione e riciclaggio a carico dell'estradando. Tuttavia, consce di questa situazione, le autorità inquirenti italiane e svizzere hanno giustamente fatto capo alla Convenzione sulla corruzione, il cui art. 4 n. 3 prevede che "quando più Parti hanno giurisdizione su un presunto reato di cui alla presente Convenzione, tali Parti, su richiesta di una di esse, si consultano per stabilire quale di esse sia meglio in grado di esercitare l'azione penale". In data 24 marzo 2013 il MPC ha quindi contattato le autorità italiane per consultarsi in tal senso (v. act. 6.4). Con fax del medesimo giorno la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio ha comunicato alle autorità svizzere le ragioni che la inducevano a ritenersi meglio in grado di esercitare l'azione penale nei confronti dell'estradando per i reati di corruzione internazionale e riciclaggio di denaro (v. act. 6.4). Ricordata la nazionalità italiana dell'estradando, essa ha sottolineato come le indagini abbiano permesso di accertare che parte dei reati, ossia corruzione e riciclaggio, sarebbero stati commessi a Cascina Costa di Samarate, dove si trova la sede della società C. In data 25 aprile 2013 il MPC decideva di sospendere il procedimento penale a carico dell'estradando ed altri. Il giorno seguente esso informava l'UFG dei contatti avuti con l'autorità italiana e del fatto che a suo parere l'autorità italiana era più adatta per perseguire il ricorrente. Il MPC non si sarebbe quindi opposto alla consegna di quest'ultimo.
Sulla base degli atti dell'incarto (v. soprattutto act. 6.2, più precisamente l'ordinanza di custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari a carico dell'estradando ed altri dell'11 febbraio 2013), questa Corte ritiene che il baricentro dei presunti atti corruttivi e di riciclaggio si trovi in maniera preponderante all'estero, essenzialmente in Italia. L'estradando è di nazionalità italiana ed il procedimento in Italia è ad uno stato più avanzato di quello svizzero. Accordatesi sulla base dell'art. 4 Convenzione sulla corruzione, le autorità elvetiche ed italiane hanno ritenuto quest'ultime più adatte per occuparsi di tutta la vicenda, soluzione condivisa da questa Corte. L'estradizione non può quindi essere rifiutata sulla base degli art. 35 cpv. 1 lett. b e 36 EIMP.
3.3 L'art. 37 cpv. 1 AIMP permette di negare l'estradizione se la Svizzera può assumere il perseguimento penale e ciò sembra opportuno riguardo al reinserimento sociale della persona perseguita. Tale disposizione non è tuttavia opponibile ad uno Stato che, come l'Italia, è parte alla CEEstr, il cui testo non contiene nessuna regola analoga all'art. 37 AIMP. L'art. 1CEEstr fissa l'obbligo di estradare, impedendo allo Stato richiesto di negare la propria collaborazione fondandosi su una norma o principio di diritto interno, anche se posteriore all'entrata in vigore della convenzione (DTF 129 II 100 consid. 3.1; 122 II 485 consid. 3; sentenza 1A.233/2004 consid. 3.3).
4. Un altro motivo per mantenere la giurisdizione svizzera è legato, a dire del ricorrente, agli interessi politici in gioco tra Italia e India. La vicenda che lo tocca implicherebbe un importante scontro di interessi politici ed economici tra i due Paesi. Coinvolta sarebbe la più importante azienda pubblica italiana e lo sarebbe nei suoi rapporti con le autorità politiche e militari di un Paese importante come l'India, con il quale l'Italia attraverserebbe attualmente una profonda crisi diplomatica per la vicenda dei due marinai militari italiani accusati di omicidio in India. Vi sarebbe il timore che l'andamento del processo sia condizionato dalle vicende politiche tra i due Paesi.
Orbene, quanto asserito dal ricorrente non è supportato da nessun elemento concreto in grado di confermare la sua tesi. Si tratta di ipotesi che, in assenza del benché minimo riscontro probatorio, non possono di certo issarsi a motivo sufficiente per negare l'estradizione. Anche tale censura va quindi respinta.
5. Il ricorrente sostiene che la sua estradizione all'Italia violerebbe il principio dell'unità della procedura, dato che la sua posizione processuale sarebbe inscindibile da quella del coaccusato G., cittadino svizzero, non estradabile.
5.1 Il principio dell'unità della procedura è previsto all'art. 29 CPP. Più reati sono perseguiti e giudicati congiuntamente se sono stati commessi da uno stesso imputato (cpv. 1 lett. a) oppure vi è correità o partecipazione (cpv.1 lett. b). Tale disposizione costituisce una regola d'ordine. L'applicazione rigorosa del principio in questione è sovente aleatoria e le persone perseguite non possono invocare tale principio per dedurne un vero diritto. La scoperta susseguente o tardiva di nuove infrazioni a carico di una persona già giudicata o che sta per esserlo, l'arresto di correi o di partecipanti a un'infrazione il cui autore principale o altri partecipanti sono già stati giudicati o stanno per esserlo giustificano perseguimenti e sentenze separate (v. BERNARD BERTOSSA, in Commentaire romand, Code de procédure pénale suisse, Basilea 2011, n. 4 ad art. 29 CPP).
5.2 In concreto, va rilevato che, da una parte, l'autorità svizzera ha sospeso il procedimento penale interno sia a carico del ricorrente che di G. Dall'altra, l'autorità rogante sta procedendo con la sua inchiesta anche nei confronti di G. - il quale risulta essere peraltro anche cittadino italiano - per le stesse infrazioni contestate al ricorrente. In definitiva, tenuto anche conto del fatto che le altre persone coinvolte nella vicenda - si pensi soprattutto a D. e E. - sono perseguite nello Stato rogante, l'unità della procedura è (meglio) garantita in Italia.
6. Invocando il suo miglior reinserimento sociale in Svizzera (censura già trattata precedentemente, v. consid. 3 supra), l'estradando afferma che la decisione impugnata sarebbe contraria all'art. 8 CEDU, dato che la sua famiglia, moglie e tre figli, si troverebbe in Svizzera.
6.1 L'art. 8 CEDU non conferisce il diritto di risiedere sul territorio di uno Stato o di non essere espulso o estradato (v. sentenza del Tribunale federale 1A.9/2001 del 16 febbraio 2001, consid. 3c). Qualsiasi pena subita compromette le relazioni familiari e professionali; tali conseguenze non possono essere invocate per opporsi a un'estradizione (DTF 120 Ib 120 consid. 3d). Nelle cause d'estradizione in cui l'art. 8 CEDU è stato invocato, la giurisprudenza sia nazionale che europea si è sempre fondata sulla cifra 2 di tale disposizione per affermare che l'ingerenza nel diritto alla protezione della famiglia era una conseguenza inevitabile, e quindi accettabile, dell'estradizione (DTF 117 Ib 210 consid. 3b/cc con riferimenti). Tale disposizione può tuttavia essere di ostacolo all'estradizione se quest'ultima appare come un'ingerenza sproporzionata nella vita familiare dell'interessato (DTF 129 II 100 consid. 3.5). Il Tribunale federale ha così rifiutato un'estradizione alla Germania richiesta per l'esecuzione di un saldo di pena di 473 giorni di prigione per un reato di ricettazione. L'interessato aveva due figlie minori in Svizzera e la carcerazione aveva messo la sua compagna, invalida al 100% e incinta di un terzo figlio, in uno stato ansio-depressivo generatore d'idee suicidarie. In tali circostanze, la Svizzera ha potuto incaricarsi dell'esecuzione sul suo territorio del saldo di pena ancora da scontare (v. DTF 122 II 485 consid. 3 e 4 entrambi non pubblicati). L'Alta Corte federale ha tuttavia avuto l'occasione, in una causa ulteriore, di precisare che un tale rifiuto era del tutto eccezionale e non entrava in linea di conto in altre circostanze (sentenza del Tribunale federale 1A.9/2001 del 16 febbraio 2001, consid. 3c)
6.2 In concreto, non ci si trova certamente in un caso analogo a quello sopra descritto. La situazione familiare che emerge dall'incarto non è problematica e non permette di affermare che l'estradizione del ricorrente avrebbe conseguenze per la sua famiglia paragonabili, anche solo minimamente, a quelle alla base della DTF 122 II 485, comportando i normali inconvenienti, certo seri ma legati di per sé all'espiazione di qualsiasi pena detentiva, rispettivamente di qualsiasi esperienza di custodia cautelare in carcere. Su questo punto il ricorso deve ugualmente essere respinto.
7. L'estradando censura una violazione del divieto di discriminazione in base alla cittadinanza previsto dagli accordi tra la Svizzera e l'Unione europea. Al beneficio di un permesso di domicilio CE/AELS fondato sulla nazionalità italiana e domiciliato in Svizzera da 20 anni, egli non potrebbe essere discriminato per rapporto ad un cittadino svizzero, non estradabile.
7.1 Giusta l'art. 6 n. 1 lett. a CEEstr, ciascuna Parte contraente avrà la facoltà di rifiutare l'estradizione dei suoi cittadini. La Svizzera ha formulato una riserva a tale disposizione, affermando che il diritto svizzero autorizza l'estradizione di cittadini svizzeri soltanto alle condizioni restrittive previste all'art. 7 AIMP, il quale prevede, al suo cpv. 1, che, salvo che vi acconsenta per scritto, nessuno svizzero può essere estradato o consegnato a uno Stato estero a scopo di perseguimento o esecuzioni penali. Il consenso può essere revocato fintanto che non sia ordinata la consegna. Secondo l'art. 2 dell'Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (ACL; RS 0.142.112.681), in conformità delle disposizioni degli allegati I, II e III dell'ACL, i cittadini di una parte contraente che soggiornano legalmente sul territorio di un'altra parte contraente non sono oggetto, nell'applicazione di dette disposizioni, di alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità.
7.2 Nella fattispecie, occorre rilevare che il principio di non discriminazione è applicabile unicamente alle materie previste negli allegati I, II e III dell'ACL. Orbene, tali allegati riguardano, nell'ordine, la libera circolazione dei lavoratori, il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale nonché il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali, non quindi la cooperazione giudiziaria internazionale, più precisamente il diritto in materia di estradizione. Va aggiunto inoltre che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (v. sentenza C-42/11 del 5 settembre 2012) citata dal ricorrente, secondo la quale una riserva emessa solo a favore dei propri cittadini per rifiutare di eseguire un mandato di arresto europeo ai fini dell'esecuzione di una pena, ad esclusione dei cittadini di altri stati membri, sarebbe lesiva del principio di non discriminazione previsto all'art. 18 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea, il quale avrebbe lo stesso contenuto dell'art. 2 ALC, non è applicabile nella fattispecie, visto che la suddetta sentenza riguardava un cittadino portoghese e che la Svizzera, contrariamente al Portogallo, non fa parte dell'Unione europea, né soggiace del resto alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. La censura in questo ambito va dunque disattesa.
8. L'estradando afferma che una sua estradizione all'Italia violerebbe l'art. 3 CEDU e 7 Patto ONU II. Egli richiama la sentenza dell'8 gennaio 2013 della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Torreggiani ed altri, la quale avrebbe condannato l'Italia, sulla base della summenzionata disposizione, per le inaccettabili condizioni di carcerazione vigenti in alcune sue strutture, tra le quali quella di Busto Arsizio, laddove egli sarebbe destinato in caso di estradizione.
8.1 Gli standard minimi di protezione dei diritti individuali derivanti dalla CEDU o dal Patto ONU II fanno parte dell'ordine pubblico internazionale. Tra tali diritti figura il divieto di tortura nonché di trattamenti crudeli, inumani o degradanti (art. 3 CEDU e art. 7 Patto ONU II; cfr. anche art. 3 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984 [RS 0.105], nonché la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 26 novembre 1987 [RS 0.106]). Sebbene la CEDU non garantisca il diritto di non essere espulso o estradato in quanto tale, quando una decisione di estradizione lede, per le sue conseguenze, l'esercizio di un diritto garantito dalla convenzione, essa può, se le ripercussioni non sono troppo indirette, mettere in gioco gli obblighi di uno Stato contraente sulla base della disposizione corrispondente (DTF 123 II 279 consid. 2d, 511 consid. 6a, con i rinvii alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo). La Svizzera veglia a non prestare il suo appoggio sia attraverso l'estradizione che attraverso la cosiddetta altra assistenza a procedure che non garantirebbero alla persona perseguita uno standard di protezione minima corrispondente a quello offerto dal diritto degli Stati democratici, definito in particolare dalla CEDU o dal Patto ONU II, o che si troverebbero in contrasto con norme riconosciute come appartenenti all'ordine pubblico internazionale (DTF 130 II 217 consid. 8.1; 126 II 324 consid. 4a; 125 II 356 consid. 8a; 123 II 161 consid. 6a, 511 consid. 5a, 595 consid. 5c; 122 II 140 consid. 5a; sentenza del Tribunale federale 1A.17/2005 del 11 aprile 2005, consid. 3.1; v. anche TPF 2008 24 consid. 4.1; sentenze del Tribunale penale federale RR.2007.142 del 22 novembre 2007, consid. 6.1; RR.2007.44 del 3 maggio 2007, consid. 5.1; RR.2007.55 del 5 luglio 2007, consid. 9). Nessuno può essere rinviato in uno Stato in cui rischia la tortura o un altro genere di trattamento o punizione crudele o inumano (art. 25 cpv. 3 Cost.; DTF 133 IV 76 consid. 4.1, con rinvii).
8.2 Secondo l'art. 37 cpv. 3 AIMP, l'estradizione è negata se lo Stato richiedente non offre garanzia che la persona perseguita nello Stato richiedente non sarà sottoposta ad un trattamento pregiudizievole per la sua integrità fisica. Il Tribunale federale ha avuto modo di approfondire la problematica delle garanzie diplomatiche fornite dallo Stato richiedente quali condizioni per l'estradizione nella DTF 134 IV 156. Nella sua analisi, esso ha proceduto ad una suddivisione tripartita della casistica legata all'impiego di garanzie. Nella prima categoria figurano i casi concernenti i Paesi con una provata cultura dello Stato di diritto - in particolare i Paesi occidentali -, i quali, dal punto di vista dell'art. 3 CEDU, non presentano di regola nessun rischio per le persone perseguite che vi devono essere estradate. In questi casi
l'estradizione viene concessa senza pretendere garanzie. Nella seconda categoria sono invece compresi i casi riguardanti quegli Stati nei quali vi sono seri rischi che la persona perseguita possa subire maltrattamenti proibiti; in tali casi il rischio è contrastato o minimizzato mediante garanzie fornite dallo Stato richiedente, in modo che lo stesso rimanga solo teorico. Un tale rischio teorico di trattamenti contrari ai diritti umani, in quanto sempre presente, non è sufficiente per rifiutare l'estradizione. In caso contrario, le estradizioni non sarebbero più possibili, il che renderebbe di fatto impraticabile un'efficace politica di contrasto internazionale alla criminalità e quindi l'adempimento di un preciso impegno che la Confederazione si è assunta nei numerosi trattati conclusi in questo ambito. Vi è infine una terza categoria, nella quale il rischio di trattamenti contrari ai diritti umani non può, neanche con l'ausilio di garanzie diplomatiche, né essere minimizzato né essere reso solamente teorico (v. DTF 134 IV 156 consid. 6.7). Determinare in quale categoria un caso debba essere inserito implica una valutazione dei rischi nel Paese in esame. È innanzitutto necessario procedere all'analisi della situazione dei diritti umani in generale nello Stato richiedente. In seguito - ed è questo il criterio più importante -, occorre verificare se la persona perseguita, nella fattispecie e tenuto conto di circostanze particolari e reali, rischia di essere esposta a pericoli concreti (DTF 134 IV 156 consid. 6.8).
8.3 Con sentenza dell'8 gennaio 2013, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha constatato una violazione da parte dell'Italia dell'art. 3 CEDU (v. cause congiunte n. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10, Torreggiani ed altri contro Italia). La Corte ha ritenuto "che i ricorrenti non abbiano beneficiato di uno spazio vitale conforme ai criteri da essa ritenuti accettabili con la sua giurisprudenza. Essa desidera rammentare ancora una volta in questo contesto che la norma in materia di spazio abitabile nelle celle collettive raccomandata dal CPT è di quattro metri quadrati" (v. n. 76). Essa ha anche osservato "che la grave mancanza di spazio sperimentata dai sette ricorrenti per periodi variabili dai quattordici ai cinquantaquattro mesi, costitutiva di per sé di un trattamento contrario alla Convenzione, sembra essere stata ulteriormente aggravata da altri trattamenti denunciati dagli interessati. La mancanza di acqua calda nei due istituti per lunghi periodi, ammessa dal Governo, nonché l'illuminazione e la ventilazione insufficienti nelle celle del carcere di Piacenza, sulle quali il Governo non si è espresso, non hanno mancato di causare nei ricorrenti un'ulteriore sofferenza, benché non costituiscano di per sé un trattamento inumano e degradante" (v. n. 77). La Corte ha ritenuto "che le condizioni detentive in questione, tenuto conto anche della durata della carcerazione dei ricorrenti, abbiano sottoposto gli interessati ad una prova d'intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza inerente la detenzione" (v. n. 78). Nel dispositivo della sentenza, la Corte ha dichiarato "che lo Stato convenuto dovrà, entro un anno a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva in virtù dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, e ciò conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte (v. punto 4). Essa ha anche dichiarato "che, in attesa che vengano adottate le misure di cui sopra, la Corte differirà, per la durata di un anno a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva, la procedura in tutte le cause non ancora comunicate aventi unicamente ad oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia riservandosi la facoltà, in qualsiasi momento, di dichiarare irricevibile una causa di questo tipo o di cancellarla dal ruolo a seguito di composizione amichevole tra le parti o di definizione della lite con altri mezzi, conformemente agli articoli 37 e 39 della Convenzione" (v. punto 5).
8.4 Nella fattispecie va rilevato che, mediante nota verbale spontanea del 17 giugno 2013 l'Ambasciata d'Italia a Berna ha comunicato all'UFG che "il Ministero della Giustizia italiano ha fatto sapere che, in caso di accoglimento della domanda di estradizione, verranno assicurate condizioni detentive nel pieno rispetto delle disposizioni dell'art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (...). Il Ministero della Giustizia italiano comunica anche che, "in caso di consegna in estradizione di A., lo stesso non dovrà essere necessariamente ristretto presso la Casa Circondariale di Busto Arsizio potendo essere associato in altro istituto penitenziario più vicino al confine svizzero, anche al fine di agevolare eventuali visite dei familiari, residenti a Lugano" (v. act. 6.10). È evidente che le garanzie offerte dallo Stato richiedente in una nota verbale spontanea e posteriore alla sentenza Torreggiani perseguano appunto lo scopo di assicurare le autorità svizzere che nella fattispecie tutte le esigenze di cui all'art. 3 della CEDU saranno rispettate. Va da sé che una simile garanzia, sia pur espressa in termini generici, comprende anche l'esigenza del collocamento, in caso di detenzione dell'estradato, in una struttura carceraria di uno spazio vitale individuale di almeno 4m 2. Apparterrà all'UFG verificare, alle condizioni e nella forma che riterrà più opportuna, che la struttura carceraria in cui l'estradando verrà collocato ossequi la predetta condizione. Visto quanto precede, alla luce delle formali garanzie spontaneamente offerte dallo Stato richiedente nella presente fattispecie, lo Stato richiesto non ha ragioni di credere che l'estradando, qualora posto in arresto, non sarebbe detenuto in ossequio alle esigenze dell'art. 3 della CEDU. In definitiva, tenuto conto del principio della buona fede tra Stati (v. DTF 121 I 181 consid. 2c/aa; 101 Ia 405 consid. 6bb), visti gli estremi del caso, non vi sono ragioni di dubitare della formale garanzia offerta dallo Stato richiedente. Ne consegue che la censura va disattesa.
9. L'estradando ritiene, infine, che la delega all'Italia del perseguimento dei reati di riciclaggio commessi in Svizzera sia troppo vaga ed ambigua, non essendo per nulla chiaro il perseguimento di quali reati in concreto possa assicurare l'Italia e quali eventualmente resterebbero scoperti, fermo restando che l'Italia non costituirebbe per lui il luogo di miglior reinserimento sociale.
9.1 Giusta l'art. 88 AIMP, si può chiedere a uno Stato estero di assumere il perseguimento penale per un reato soggetto alla giurisdizione svizzera se la sua legislazione ne ammette il perseguimento e la repressione giudiziaria e la persona perseguita: dimora in questo Stato e la sua estradizione alla Svizzera è inappropriata o inammissibile (lett. a), o è estradata a questo Stato e la delega del perseguimento penale ne consentirà verosimilmente un migliore reinserimento sociale (lett. b). In questo ambito, il Tribunale federale ha già avuto modo di affermare che, oltre al migliore reinserimento sociale, altri elementi possono ugualmente essere presi in considerazione. Esso ha quindi rinviato ai criteri enumerati all'art. 8 OAIMP in relazione con l'art. 19 AIMP (v. sentenza del Tribunale federale 1A.117/2000 del 26 aprile 2000, consid. 2a), segnatamente il centro di gravità della procedura penale (v. sentenza del Tribunale federale 1A.103/2005 dell'11 luglio 2005, consid. 4.1).
9.2 Nella fattispecie, occorre anzitutto rilevare che l'estradando ha vissuto diversi anni in Italia, integrandosi, circostanza dimostrata dal fatto di aver ottenuto la cittadinanza di quel Paese. In secondo luogo, l'autorità rogante si è addirittura dichiarata pronta a collocarlo in un istituto penitenziario vicino al confine con la Svizzera, al fine di facilitare i contatti con la famiglia in Ticino. Ma ciò che risulta determinante nella fattispecie è che il centro di gravità della vicenda penale si trova indubbiamente in Italia, elemento qui decisivo (v. consid. 3.2.2 supra). Significativo e calzante in concreto è quanto già evidenziato da ZIMMERMANN, secondo il quale "dans certains cas, il est arrivé que des procédures pénales soient ouvertes en Suisse en relation avec des faits de blanchissage du produit d'infractions commises à l'étranger, notamment de la corruption ou des détournements de fonds publics. Le rattachement avec la Suisse existe, puisque c'est là que les fonds ont été repérés et saisis. En revanche, l'essentiel des moyens de preuve et des témoins (ainsi que, parfois, les auteurs) se trouvent à l'étranger. Très rapidement, l'enquête en Suisse butte sur des obstacles difficiles à surmonter, liés à la difficulté d'éclaircir tous les détails des faits, d'entendre les témoins, de procéder à des mesures de contrainte, etc. Demander l'entraide à l'étranger peut, dans un tel contexte, se heurter à toutes sortes d'embûches. Après plusieurs mois (ou années) d'efforts, la délégation de la poursuite à l'Etat du lieu de l'infraction principale apparaît non seulement comme la solution appropriée, mais la seule envisageable, à peine d'un enlisement inexorable de la procédure" (v. op. cit., n. 748). In definitiva, giustificandosi la delega del perseguimento, la censura del ricorrente va respinta.
10. In conclusione, non vi è nessuna ragione per negare l'estradizione. Ne consegue che il ricorso deve essere respinto .
11. Soccombente, il ricorrente deve sopportare una parte delle spese (v. art. 63 cpv. 1 PA richiamato l'art. 39 cpv. 2 lett. b LOAP), fissate nel caso concreto a fr. 3'000.-- e poste a suo carico. Esse sono coperte dall'anticipo già versato.

Per questi motivi, la Corte dei reclami penali pronuncia:

1. Il ricorso è respinto.

2. La tassa di giustizia di fr. 3'000.-- è posta a carico del ricorrente. Essa è coperta dall'anticipo dei costi già versato.

Bellinzona, 16 ottobre 2013
In nome della Corte dei reclami penali
del Tribunale penale federale
Il Presidente : Il Cancelliere :
Comunicazione a:

- Avv. Luca Marcellini
- Ufficio federale di giustizia, Settore Estradizioni
Informazione sui rimedi giuridici
Il ricorso contro una decisione nel campo dell'assistenza giudiziaria internazionale in materia penale deve essere depositato presso il Tribunale federale entro 10 giorni dalla notificazione del testo integrale della decisione (art. 100 cpv. 1 e 2 lett. b LTF). Il ricorso è ammissibile soltanto se concerne un'estradizione, un sequestro, la consegna di oggetti o beni oppure la comunicazione di informazioni inerenti alla sfera segreta e se si tratti di un caso particolarmente importante (art. 84 cpv. 1 LTF). Un caso è particolarmente importante segnatamente laddove vi sono motivi per ritenere che sono stati violati elementari principi procedurali o che il procedimento all'estero presenta gravi lacune (art. 84 cpv. 2 LTF).

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